In quel tempo, una
folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me
e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i
fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui
che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio
discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare
la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se
getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che
vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non
è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro
un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini
chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano,
gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a
tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». (Lc 14,25-33)
Nel
libro della Sapienza leggiamo: “Quale, uomo può
conoscere il volere di Dio? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le
nostre riflessioni”.
Qual è il volere del Signore? Cosa ci chiede Gesù nel Vangelo, con la Sua vita?
Ci chiede di amare il prossimo come noi stessi, di amare Dio, ci chiede di
essere attenti ai bisogni degli altri.
Se, come invitati da
Papa Francesco ci soffermiamo a meditare sulle opere di misericordia,
comprendiamo ciò che ci chiede il Signore. Nel Vangelo, la frase conclusiva è
forte: “Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere
mio discepolo”. C’è una storiella di Bruno Ferrero, che molti di noi già conoscono,
che racconta: “Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a
brontolare con Dio perché diceva: "Ma chi l'ha detto che ognuno deve
portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono
veramente stufo dei miei pesi quotidiani!" Il Buon Dio gli rispose con un
sogno. Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata
processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma
inesorabilmente, un passo dopo l'altro. Anche lui era nell'interminabile corteo
e avanzava a fatica con la sua croce personale. Dopo un po' si accorse che la
sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica ad avanzare. "Sarebbe
sufficiente accorciarla un po' e tribolerei molto meno", si disse, e con
un taglio deciso accorciò la sua croce d'un bel pezzo. Quando ripartì si
accorse che ora poteva camminare molto più speditamente e senza tanta fatica
giunse a quella che sembrava la meta della processione. Era un burrone: una
larga ferita nel terreno, oltre la quale però cominciava la "terra della
felicità eterna". Era una visione incantevole quella che si vedeva
dall'altra parte del burrone. Ma non c'erano ponti, né passerelle per
attraversare. Eppure gli uomini passavano con facilità. Ognuno si toglieva la
croce dalle spalle, l'appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini
del precipizio. Passavano tutti, ma non lui: aveva accorciato la sua croce e
ora era troppo corta e non arrivava dall'altra parte del baratro. Si mise a
piangere e a disperarsi: "Ah, se l'avessi saputo...".
La croce è l'unica
via di salvezza per gli uomini, l'unico ponte che conduce alla vita eterna.
Ma quali sono le
nostre croci? Quelle che a volte vorremmo tagliare perché le sentiamo troppo
pesanti, vediamo le difficoltà che ci portano, come leggiamo nel Libro della
Sapienza, a conoscere il volere di Dio. Tutti noi siamo chiamati alla santità e
non c’è santità se non c’è croce e non c’è santità se desideriamo tagliarne dei
pezzi. Se riflettiamo sulla vita di quelli che noi conosciamo come santi, a
loro è stato chiesto molto, perché “…a chiunque fu dato molto, molto sarà
chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” a chi molto
verrà chiesto, molto anche sarà dato”(Lc 12,48).
Nel nostro
quotidiano, quali sono quei pezzetti di croce che vorremmo tagliare? Per ognuno
di noi sono diversi, per alcuni l’invito è quello di: abbracciare i lebbrosi,
stare loro vicino, essere accanto ai
morenti… Servire il Signore significa allontanare comportamenti o situazioni
che non ci rendono liberi, non essere
schiavi del mondo. Gesù dice: “chi non rinuncia a tutti i suoi averi non può
essere mio discepolo” e con ciò non intende solo il denaro e i beni materiali
ma si riferisce ai nostri capricci, alle nostre comodità, al nostro dire: “no,
non ho voglia”, al non servire i fratelli, a trovare continuamente scuse. Eccoli,
i nostri averi. Così facendo non possiamo essere discepoli di Cristo, perché la
croce è Cristo e se rinunciamo alla
croce, rinunciamo a Cristo. La croce non deve portare amarezza, la croce deve
portare gioia, la gioia di aver servito Cristo, anche se siamo passati
attraverso la sofferenza, fatica, dolore e giudizio, perché a volte, nel fare
la volontà del Padre non si è capiti, non si è compresi.
Vogliamo rinunciare
al Signore? vogliamo dire “sì” ai nostri averi?
Dice il salmo 148:
“perché solo il Suo nome è sublime, la Sua gloria risplende sulla terra e nei
cieli”.
Benediciamo il
Signore perché oggi, un giorno prima dell’anniversario della sua morte,
5
settembre 1997 , papa Francesco con la formula di canonizzazione ha iscritto
nell'albo dei santi Madre Teresa di
Calcutta, una donna che ha deciso di
portare ed abbracciare la croce degli altri, quella dei lebbrosi, dei poveri
dei poveri, dei morenti. Questa mattina il Santo Padre ha esortato i fedeli a
seguire l’esempio della santa albanese per attuare “quella rivoluzione della
tenerezza iniziata da Gesù Cristo con il suo amore di predilezione ai piccoli".
E nell’omelia ha proseguito dicendo: "Non esiste alternativa alla carità:
quanti si pongono al servizio dei fratelli, benché non lo sappiano, sono coloro
che amano Dio”.
Sia lodato Gesù
Cristo.
Ci scusiamo ma per ragioni tecnciche non siamo riusciti a pubblicare ieri questo testo ...
portate pazienza!