IL DONO DELLA PIETA'
La preghiera s’è svuotata
Inutile
illudersi, mio figlio non prega più! Lo ricordo bambino con gli occhi
spalancati e le manine giunte, tutto intento alla fiammella della candela
appena accesa per poi rivolgere i suoi occhioni azzurri a “salutare Gesù”.
Ricordo con quale insistenza la sera voleva che mi sedessi sul letto accanto a
lui “a dire le preghierine”. Ricordo l’emozione della sua Prima
Comunione. Ricordo l’entusiasmo e il puntiglio con cui frequentava il gruppo
chierichetti. Ma poi crescendo s’è fatto – come dire? – distratto, irrequieto,
ecco, incapace di silenzio: sempre qualche cosa da fare, sempre una musica a
fare compagnia, sempre un appuntamento da non perdere con gli amici. Il tempo
gli sfugge di mano: arriva a sera e si addormenta spossato e mi sembra –
come vuoto. Se una volta capita di pregare insieme, vedo che le sue labbra
ripetono le parole, ma con un fare distaccato e annoiato da fare pena: ripete
le parole della preghiera con la stessa inerzia con cui scarabocchia i libri,
quando si distrae durante le lezioni. Non prega più.
Frequenta la
Messa della domenica come un appuntamento scontato: forse durerà finché il
gruppo dei coetanei continuerà a occupare la terza panca e a provocare le
occhiate inviperite della Giuseppina. Qualche volta lo spio durante la celebrazione
e vedo i suoi occhi persi nel vuoto, come in una insanabile lontananza. Che
sarà di lui quando la vita lo spremerà con le sue asprezze? Mio figlio non
prega più.
Che devo fare
ancora?
Mia moglie è
una santa donna. In chiesa appena può, è quella che intona il rosario prima
della Messa. Prega per tutti: per le missioni, per le vocazioni, per i giovani,
per i malati, per il Papa. Prega anche per chi non prega e non va in chiesa.
Prega dunque anche per me. Mi dispiace di darle tanta pena, ma che cosa devo
fare?
Sono un
brav’uomo, onesto e lavoratore, come si dice. Servizievole, anche, se mia
moglie deve partecipare a una riunione, se deve uscire la sera, le faccio
volentieri da autista; se il mio parroco deve ritirare un pacco o un documento,
vado volentieri anche in curia, dato che lavoro lì vicino.
Sono generoso
anche: i ragazzi che vengono a portare l’ulivo benedetto, i giovani che
raccolgono soldi per le missioni, la signora che invita a un’offerta per la
giornata del Seminario, nessuno se ne va da casa mia a mani vuote!
Sono dunque da
rimproverare e condannare perché non prego e non vado in chiesa – come sostiene
e minaccia mia moglie? Io però non so proprio come fare. Mettersi lì a ripetere
delle parole, da soli, è una cosa per cui non ho abbastanza fantasia. Andare in
chiesa e sentire sulla schiena lo sguardo interrogativo della gente abituata da
cent’anni a occupare quella panca è una cosa che supera la mia pazienza. Sia
ben chiaro: non voglio criticare nessuno e non mi oppongo a niente. Quello che
mi risulta chiaro è che io non riesco proprio a pregare e che non mi trovo al
mio posto in chiesa.
Un cuore può
farsi di pietra
Sì, abbiamo
avuto delle prove, la vita non è stata facile per noi. I primi anni di
matrimonio sono stati duri, perché avevamo poche risorse ed eravamo costretti a
vivere nella casa dei suoceri, a sentirli borbottare per ogni cambiamento, a
discutere i nostri orari e persino i nostri menu: c’era però la giovinezza,
l’ambizione di progredire e una fede giovane e lieta. Poi sono venuti i figli
che hanno convinto a costruire la casa nuova e l’hanno subito riempita di
allegria e di litigi, ci giocattoli e di libri, di abbracci affettuosi e di
capricci, delle preoccupazioni per le scelte educative e il loro futuro. Ma
c’era la salute, la voglia di lavorare, il benessere a portata di sudore, e una
fede adulta, sobria, solida.
Ma quando per
l’ultimo dei figli la diagnosi non ha più lasciato speranze, allora mia
moglie si è fatta come di pietra. Continuava a fare tutto come prima, con efficienza
e precisione, ma nei suoi occhi s’era spenta quella scintilla di gioia che li
rendeva così belli e vivi. Si parlava, poi, per il piccolo di visite e terapie,
si parlava di altri casi simili e più gravi. E si continuava anche a parlare
d’altro: della scuola del più grande e della bronchite della ragazza, dei buoni
risultati scolastici e della necessità di cambiare la macchina, della mia
carriera in ufficio e dei progetti per le vacanze. Ma io mi accorgevo che per
lei tutto era colorato di grigio e che quel figlio diverso dagli altri le era
sempre davanti agli occhi e le impediva di concedersi al riso, di sciogliersi
in lacrime, di abbandonarsi ai sogni e alla preghiera. Ecco il punto più
difficile: mia moglie era arrabbiata con Dio!
PREGHIERA E
RIFLESSIONE
Invoco con voi
e per voi lo Spirito Santo perché effonda il dono della pietà.
“La pietà è
l’orientamento del cuore e della vita intera ad adorare Dio, a prestargli il
culto che lo riconosca come sorgente e meta di ogni dono autentico. La pietà e la
tenerezza per Dio, l’essere innamorati di Lui e il desiderare di renderGli
gloria in ogni cosa. La misericordia del Signore è stata talmente grande con
noi che Egli desidera la nostra carità verso di Lui! Grazie alla pietà il
cristiano non cerca solo le consolazioni di Dio, ma desidera farGli compagnia
nella Sua gioia e nel Suo dolore per il peccato del mondo” (tre racconti dello Spirito, 52).
Il dono della
pietà si trova sulle vie misteriose che lo Spirito percorre per abitare i
cuori.
Un giorno forse
quel ragazzo che percorre da solo le strade della città troverà spontaneo
cercare un momento di sollievo al caldo dell’estate in una chiesa: e lì gli
parlerà il grande crocifisso o il silenzio o la figura del prete che sta là in
ginocchio sulla prima panca.
Dopo tanto
tempo il ragazzo proverà a mettersi ancora in ginocchio e cercherà di resistere
in quella posizione, come in tacita sfida con il prete; e piano piano, mentre
lungo la schiena gli sale la fatica, sulle labbra torneranno le parole antiche:
“Padre nostro, che sei nei cieli …”.
Un giorno,
forse, anche l’uomo onesto e buono, reso opaco dall’abitudine e dal rispetto
umano, abituato a trattenere il pensiero e persino il sentimento sulle cose
spicciole e fugaci, si troverà invaso dalla commozione. Sarà un canto che lo
raggiunge da insospettate lontananze visitando un santuario o piuttosto un
volto di Cristo di un artista sconosciuto che era lì, in casa del figlio da
chissà quanto tempo e che, finalmente, un giorno trapassa con sguardo
inquietante le mura impenetrabili in cui s’era rinchiuso il desiderio di Dio e
ne spreme la commozione e l’esultanza: “sia santificato il Tuo Nome…”
Un giorno,
forse, anche la madre afflitta che va in chiesa oramai solo perché al suo
bambino malato piacciono i canti e le vesti da chierichetto, sentirà la
vicinanza dell’altra Madre afflitta, che sta là sotto la croce. E quando tra le
lacrime tornerà a pregare le parole troppo a lungo taciute: “sia fatta la
Tua volontà!”, non sarà per dichiarare una resa al Dio enigmatico che manda
le disgrazie, ma sarà un canto di vittoria e di speranza che s’abbandona
all’unico, vero, santo Dio che ha dato vita anche al Suo Figlio in croce e sa
dare gioia e speranza eterna al bambino malato e consolazione alla sua afflitta
madre.