Giubileo della Misericordia - 8 dicembre 2015 |
Questo passo è tratto dalla Bolla di Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, "Misericordiae Vultus" di Papa Francesco (punto 9)
Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù
rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto
fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione
e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della
pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr Lc
15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia,
soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della
nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince,
che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.
Da un’altra parabola, inoltre, ricaviamo un
insegnamento per il nostro stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di
Pietro su quante volte fosse necessario perdonare, Gesù rispose: « Non ti dico
fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette » (Mt 18,22), e
raccontò la parabola del “servo spietato”. Costui, chiamato dal padrone a
restituire una grande somma, lo supplica in ginocchio e il padrone gli condona
il debito. Ma subito dopo incontra un altro servo come lui che gli era debitore
di pochi centesimi, il quale lo supplica in ginocchio di avere pietà, ma lui si
rifiuta e lo fa imprigionare. Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto,
si adira molto e richiamato quel servo gli dice: « Non dovevi anche tu aver
pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? » (Mt 18,33).
E Gesù concluse: « Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non
perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello » (Mt 18,35).
La parabola contiene un profondo insegnamento per
ciascuno di noi. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre,
ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo
chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata
misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente
dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non
possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il
perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la
serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la
vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi
l’esortazione dell’apostolo: « Non tramonti il sole sopra la vostra ira » (Ef
4,26). E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia
come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede:
« Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5,7) è la
beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo.
Come si nota, la misericordia nella Sacra
Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non
si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore,
d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura
è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano
nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi.
Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici,
colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare
l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli.
Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi,
gli uni verso gli altri. (se vuoi leggere tutto)
Significato del logo
da: l'Osservatore Romano 5.5.2015
Il
logo e
il
motto offrono
insieme una sintesi felice dell’Anno giubilare. Nel motto
Misericordiosi come il Padre (tratto
dal Vangelo di Luca, 6,36) si propone di vivere la misericordia sull’esempio
del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di
donare amore e perdono senza misura (cfr. Lc 6,37-38).
Il logo – opera del gesuita Padre
Marko I. Rupnik – si presenta come una piccola summa teologica del tema della
misericordia. Mostra, infatti, il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo
smarrito, recuperando un’immagine molto cara alla Chiesa antica, perché indica
l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con
la redenzione. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon
Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo, e lo fa con amore tale da
cambiargli la vita. Un particolare, inoltre, non può sfuggire: il Buon Pastore
con estrema misericordia carica su di sé l’umanità, ma i suoi occhi si
confondono con quelli dell’uomo. Cristo vede con l’occhio di Adamo e questi con
l’occhio di Cristo. Ogni uomo scopre così in Cristo, nuovo Adamo, la propria
umanità e il futuro che lo attende, contemplando nel Suo sguardo l’amore del
Padre.
La scena si colloca all’interno
della mandorla, anch’essa figura cara all’iconografia antica e medioevale che
richiama la compresenza delle due nature, divina e umana, in Cristo. I tre
ovali concentrici, di colore progressivamente più chiaro verso l’esterno,
suggeriscono il movimento di Cristo che porta l’uomo fuori dalla notte del
peccato e della morte. D’altra parte, la profondità del colore più scuro
suggerisce anche l’imperscrutabilità dell’amore del Padre che tutto perdona.
Un grande e caro abbraccio a tutti voi ...