venerdì 5 giugno 2015

L'abbraccio benedicente

Il ritorno del figliol prodigo - Rembrandt
Liberamente tratto da: "L'abbraccio benedicente" di Henri J. M. Nouwen

Il giovane abbracciato e benedetto dal padre è un uomo povero, molto povero. Ha abbandonato la propria casa con tanto orgoglio e denaro, deciso a vivere la sua vita lontano dal padre e dalla comunità. Ritorna con niente: il denaro, la salute, l’onore, il rispetto di se, la reputazione … ogni cosa è stata sperperata.
Pur in mezzo alla degradazione, non ha perso del tutto la consapevolezza di essere ancora il figlio di suo padre. Diversamente avrebbe venduto la spada di grande valore, simbolo della sua condizione di figlio. La spada è lì a mostrarmi che, quantunque sia tornato atteggiandosi come un mendicante e un proscritto, non ha dimenticato di essere ancora il figlio del proprio padre. E’ stata questa condizione di figlio ricordata e soppesata a persuaderlo finalmente a tornare indietro.
Più corro lontano dal luogo in cui Dio dimora, meno sento la voce che mi chiama “figlio  prediletto”; e meno sento quella voce, più rimango invischiato nelle manipolazioni e nei giochi di potere del mondo.
Le cose stanno più o meno in questo modo: non sono più certo di avere una casa sicura, e osservo altra gente che, fuori, sembra stare meglio di me. Mi chiedo come posso arrivare dove stanno loro. Cerco in mille modi di piacere, di raggiungere il successo e gli onori. Quando fallisco, mi sento geloso o risentito nei confronti degli altri. Quando ho successo, mi secca che gli altri possano essere gelosi o risentiti nei miei confronti. Divento sospettoso o mi metto sulla difensiva e ho sempre più paura di non raggiungere ciò che tanto desidero o di perdere ciò che già ho. Impigliato in questo groviglio di esigente desideri, non conosco più le mie stesse motivazioni. Mi sento ingannato dal mio ambiente e diffidente di ciò che gli altri fanno o dicono. Sempre in guardia, perdo la mia libertà interiore e comincio a dividere il mondo in coloro che sono per me e coloro che sono contro di me. Mi chiedo se veramente qualcuno si interessi a me. Comincio a cercare conferme alla mia diffidenza e, dovunque vada, ne ho la prova e dico: “non ci si può fidare di nessuno”. E poi mi chiedo se qualcuno mi abbia mai amato. Il mondo intorno a me diventa oscuro. Il cuore si fa pesante. Il corpo è pieno di dolori. La vita perde significato. Sono diventato un’anima perduta.
La vera solitudine arriva quando non si riesce più a sentire di avere delle cose in comune. Meno abbiamo in comune, più difficile è stare insieme e più ci sentiamo alienati.
Quando il figlio più giovane non fu più considerato un essere umano  dalle persone che gli stavano intorno, sentì tutto il vuoto del suo isolamento, la solitudine più profonda di cui l’uomo possa fare esperienza. Era davvero perduto, ma fu questa sensazione di essere completamente perduto a farlo rientrare in se stesso. Fortemente scosso dalla consapevolezza della sua totale alienazione, capì immediatamente di essersi imbarcato in un’avventura di morte. Si era talmente sradicato da ciò che da vita – famiglia, amici, comunità, conoscenti, e persino vitto – che si rese conto che la morte sarebbe stata il fatale prossimo passo. All’improvviso vide con chiarezza il sentiero che aveva scelto e dove questo lo avrebbe condotto; capì la sua scelta di morte; e intuì lucidamente che un altro passo ancora nella direzione che stava seguendo lo avrebbe portato all’autodistruzione.
In quel momento critico, quale molla lo fece optare per la vita? Fu la riscoperta della parte più profonda di se stesso.
Qualunque cosa avesse perduto, il denaro, gli amici, la reputazione, il rispetto di se, la gioia e la pace interiori – uno di questi beni o tutti insieme -, rimaneva sempre il figlio del proprio padre.
Da un lato il figlio più giovane si rende conto di aver perso la dignità della sua condizione di figlio, ma allo stesso tempo quel senso di dignità perduta gli fa capire che egli è davvero il figlio che aveva una dignità da perdere.
Il ritorno del figlio più giovane avviene proprio nel momento in cui recupera la sua condizione di figlio, anche se ha perso tutta la dignità che le è propria. Infatti è stata la perdita di ogni cosa a portarlo alla radice della sua identità. Ha scoperto il fondamento della sua condizione di figlio. In retrospettiva, sembra che il figlio prodigo abbia dovuto perdere ogni cosa per conoscere il significato profondo del suo essere. Quando si è trovato a desiderare di essere trattato come uno dei porci, si è reso conto di non essere un porco, ma un essere umano, un figlio di suo padre. Il rendersi conto di questo è diventato la base della sua scelta di vivere invece di morire. Tornato di nuovo a contatto con la verità della sua condizione di figlio, ha potuto udire – anche se in modo appena percettibile -  la voce che lo chiamava “figlio prediletto” e sentire – sebbene da lontano – il tocco della benedizione.
La consapevolezza e la fiducia nell’amore del padre, per quanto possano essere state confuse, gli hanno dato la forza di rivendicare la propria condizione di figlio, anche se tale rivendicazione non poteva basarsi su alcun merito.

-----------------------

Davanti ad una riproduzione del dipinto di Rembrandt, Nouwen sente l'ispirazione, accompagnato dalla parabola evangelica, di scrivere il libro di cui abbiamo riportato alcuni passaggi. Nouwen è uno dei più noti scrittori di spiritualità del nostro tempo.

------------------------

Chiediamo cortesemente a chi volesse inviare il proprio contributo per 
 "caldaia Casa Veronica" di farci avere la copia del bonifico o del versamento in c/c postale tramite fax al numero 0424-194069 o e-mail info@csgb.it. Grazie

Ringraziamo:
Isidoro C. - Claudia O. - Monica L. - Ferruccio S.  
ed anche altre persone che desiderano rimanere nell'anonimato
 
Grazie di cuore a tutti voi che vi siete fatti provvidenza.
 
Un caro abbraccio