Il ritorno del figliol prodigo - Rembrandt
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Il giovane
abbracciato e benedetto dal padre è un uomo povero, molto povero. Ha
abbandonato la propria casa con tanto orgoglio e denaro, deciso a vivere la sua
vita lontano dal padre e dalla comunità. Ritorna con niente: il denaro, la
salute, l’onore, il rispetto di se, la reputazione … ogni cosa è stata
sperperata.
Pur in mezzo
alla degradazione, non ha perso del tutto la consapevolezza di essere ancora il
figlio di suo padre. Diversamente avrebbe venduto la spada di grande valore,
simbolo della sua condizione di figlio. La spada è lì a mostrarmi che,
quantunque sia tornato atteggiandosi come un mendicante e un proscritto, non ha
dimenticato di essere ancora il figlio del proprio padre. E’ stata questa
condizione di figlio ricordata e soppesata a persuaderlo finalmente a tornare indietro.
Più corro
lontano dal luogo in cui Dio dimora, meno sento la voce che mi chiama
“figlio prediletto”; e meno sento quella voce, più rimango invischiato
nelle manipolazioni e nei giochi di potere del mondo.
Le cose stanno
più o meno in questo modo: non sono più certo di avere una casa sicura, e
osservo altra gente che, fuori, sembra stare meglio di me. Mi chiedo come posso
arrivare dove stanno loro. Cerco in mille modi di piacere, di raggiungere il
successo e gli onori. Quando fallisco, mi sento geloso o risentito nei
confronti degli altri. Quando ho successo, mi secca che gli altri possano
essere gelosi o risentiti nei miei confronti. Divento sospettoso o mi metto
sulla difensiva e ho sempre più paura di non raggiungere ciò che tanto desidero
o di perdere ciò che già ho. Impigliato in questo groviglio di esigente
desideri, non conosco più le mie stesse motivazioni. Mi sento ingannato dal mio
ambiente e diffidente di ciò che gli altri fanno o dicono. Sempre in guardia,
perdo la mia libertà interiore e comincio a dividere il mondo in coloro che
sono per me e coloro che sono contro di me. Mi chiedo se veramente qualcuno si
interessi a me. Comincio a cercare conferme alla mia diffidenza e, dovunque
vada, ne ho la prova e dico: “non ci si può fidare di nessuno”. E poi mi chiedo
se qualcuno mi abbia mai amato. Il mondo intorno a me diventa oscuro. Il cuore
si fa pesante. Il corpo è pieno di dolori. La vita perde significato. Sono
diventato un’anima perduta.
La vera
solitudine arriva quando non si riesce più a sentire di avere delle cose in
comune. Meno abbiamo in comune, più difficile è stare insieme e più ci sentiamo
alienati.
Quando il
figlio più giovane non fu più considerato un essere umano dalle persone
che gli stavano intorno, sentì tutto il vuoto del suo isolamento, la solitudine
più profonda di cui l’uomo possa fare esperienza. Era davvero perduto, ma fu
questa sensazione di essere completamente perduto a farlo rientrare in se
stesso. Fortemente scosso dalla consapevolezza della sua totale alienazione,
capì immediatamente di essersi imbarcato in un’avventura di morte. Si era
talmente sradicato da ciò che da vita – famiglia, amici, comunità, conoscenti,
e persino vitto – che si rese conto che la morte sarebbe stata il fatale
prossimo passo. All’improvviso vide con chiarezza il sentiero che aveva scelto
e dove questo lo avrebbe condotto; capì la sua scelta di morte; e intuì
lucidamente che un altro passo ancora nella direzione che stava seguendo lo
avrebbe portato all’autodistruzione.
In quel momento
critico, quale molla lo fece optare per la vita? Fu la riscoperta della parte
più profonda di se stesso.
Qualunque cosa
avesse perduto, il denaro, gli amici, la reputazione, il rispetto di se, la
gioia e la pace interiori – uno di questi beni o tutti insieme -, rimaneva
sempre il figlio del proprio padre.
Da un lato il
figlio più giovane si rende conto di aver perso la dignità della sua condizione
di figlio, ma allo stesso tempo quel senso di dignità perduta gli fa capire che
egli è davvero il figlio che aveva una dignità da perdere.
Il ritorno del
figlio più giovane avviene proprio nel momento in cui recupera la sua
condizione di figlio, anche se ha perso tutta la dignità che le è propria.
Infatti è stata la perdita di ogni cosa a portarlo alla radice della sua
identità. Ha scoperto il fondamento della sua condizione di figlio. In
retrospettiva, sembra che il figlio prodigo abbia dovuto perdere ogni cosa per
conoscere il significato profondo del suo essere. Quando si è trovato a
desiderare di essere trattato come uno dei porci, si è reso conto di non essere
un porco, ma un essere umano, un figlio di suo padre. Il rendersi conto di
questo è diventato la base della sua scelta di vivere invece di morire. Tornato
di nuovo a contatto con la verità della sua condizione di figlio, ha potuto
udire – anche se in modo appena percettibile - la voce che lo chiamava
“figlio prediletto” e sentire – sebbene da lontano – il tocco della
benedizione.
La
consapevolezza e la fiducia nell’amore del padre, per quanto possano essere state
confuse, gli hanno dato la forza di rivendicare la propria condizione di
figlio, anche se tale rivendicazione non poteva basarsi su alcun merito.
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Davanti ad una riproduzione del dipinto di Rembrandt, Nouwen sente l'ispirazione, accompagnato dalla parabola evangelica, di scrivere il libro di cui abbiamo riportato alcuni passaggi. Nouwen è uno dei più noti scrittori di spiritualità del nostro tempo.
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