giovedì 13 novembre 2014

Frammenti di vita quotidiana - dono della Pietà

Tratto dal libro "Lo Spirito Santo in famiglia" di Carlo Maria Martini (Centro Ambrosiano)

IL DONO DELLA PIETA'


La preghiera s’è svuotata

Inutile illudersi, mio figlio non prega più! Lo ricordo bambino con gli occhi spalancati e le manine giunte, tutto intento alla fiammella della candela appena accesa per poi rivolgere i suoi occhioni azzurri a “salutare Gesù”. Ricordo con quale insistenza la sera voleva che mi sedessi sul letto accanto a lui  “a dire le preghierine”. Ricordo l’emozione della sua Prima Comunione. Ricordo l’entusiasmo e il puntiglio con cui frequentava il gruppo chierichetti. Ma poi crescendo s’è fatto – come dire? – distratto, irrequieto, ecco, incapace di silenzio: sempre qualche cosa da fare, sempre una musica a fare compagnia, sempre un appuntamento da non perdere con gli amici. Il tempo gli sfugge di mano: arriva a sera e si addormenta spossato  e mi sembra – come vuoto. Se una volta capita di pregare insieme, vedo che le sue labbra ripetono le parole, ma con un fare distaccato e annoiato da fare pena: ripete le parole della preghiera con la stessa inerzia con cui scarabocchia i libri, quando si distrae durante le lezioni. Non prega più.

Frequenta la Messa della domenica come un appuntamento scontato: forse durerà finché il gruppo dei coetanei continuerà a occupare la terza panca e a provocare le occhiate inviperite della Giuseppina. Qualche volta lo spio durante la celebrazione e vedo i suoi occhi persi nel vuoto, come in una insanabile lontananza. Che sarà di lui quando la vita lo spremerà con le sue asprezze? Mio figlio non prega più.



Che devo fare ancora?

Mia moglie è una santa donna. In chiesa appena può, è quella che intona il rosario prima della Messa. Prega per tutti: per le missioni, per le vocazioni, per i giovani, per i malati, per il Papa. Prega anche per chi non prega e non va in chiesa. Prega dunque anche per me. Mi dispiace di darle tanta pena, ma che cosa devo fare?

Sono un brav’uomo, onesto e lavoratore, come si dice. Servizievole, anche, se mia moglie deve partecipare a una riunione, se deve uscire la sera, le faccio volentieri da autista; se il mio parroco deve ritirare un pacco o un documento, vado volentieri anche in curia, dato che lavoro lì vicino.

Sono generoso anche: i ragazzi che vengono a portare l’ulivo benedetto, i giovani che raccolgono soldi per le missioni, la signora che invita a un’offerta per la giornata del Seminario, nessuno se ne va da casa mia a mani vuote!

Sono dunque da rimproverare e condannare perché non prego e non vado in chiesa – come sostiene e minaccia mia moglie? Io però non so proprio come fare. Mettersi lì a ripetere delle parole, da soli, è una cosa per cui non ho abbastanza fantasia. Andare in chiesa e sentire sulla schiena lo sguardo interrogativo della gente abituata da cent’anni a occupare quella panca è una cosa che supera la mia pazienza. Sia ben chiaro: non voglio criticare nessuno e non mi oppongo a niente. Quello che mi risulta chiaro è che io non riesco proprio a pregare e che non mi trovo al mio posto in chiesa.



Un cuore può farsi di pietra

Sì, abbiamo avuto delle prove, la vita non è stata facile per noi. I primi anni di matrimonio sono stati duri, perché avevamo poche risorse ed eravamo costretti a vivere nella casa dei suoceri, a sentirli borbottare per ogni cambiamento, a discutere i nostri orari e persino i nostri menu: c’era però la giovinezza, l’ambizione di progredire e una fede giovane e lieta. Poi sono venuti i figli che hanno convinto a costruire la casa nuova e l’hanno subito riempita di allegria e di litigi, ci giocattoli e di libri, di abbracci affettuosi e di capricci, delle preoccupazioni per le scelte educative e il loro futuro. Ma c’era la salute, la voglia di lavorare, il benessere a portata di sudore, e una fede adulta, sobria, solida.

Ma quando per l’ultimo dei figli la diagnosi non ha  più lasciato speranze, allora mia moglie si è fatta come di pietra. Continuava a fare tutto come prima, con efficienza e precisione, ma nei suoi occhi s’era spenta quella scintilla di gioia che li rendeva così belli e vivi. Si parlava, poi, per il piccolo di visite e terapie, si parlava di altri casi simili e più gravi. E si continuava anche a parlare d’altro: della scuola del più grande e della bronchite della ragazza, dei buoni risultati scolastici e della necessità di cambiare la macchina, della mia carriera in ufficio e dei progetti per le vacanze. Ma io mi accorgevo che per lei tutto era colorato di grigio e che quel figlio diverso dagli altri le era sempre davanti agli occhi e le impediva di concedersi al riso, di sciogliersi in lacrime, di abbandonarsi ai sogni e alla preghiera. Ecco il punto più difficile: mia moglie era arrabbiata con Dio!



PREGHIERA E RIFLESSIONE



Invoco con voi e per voi lo Spirito Santo perché effonda il dono della pietà.

“La pietà è l’orientamento del cuore e della vita intera ad adorare Dio, a prestargli il culto che lo riconosca come sorgente e meta di ogni dono autentico. La pietà e la tenerezza per Dio, l’essere innamorati di Lui e il desiderare di renderGli gloria in ogni cosa. La misericordia del Signore è stata talmente grande con noi che Egli desidera la nostra carità verso di Lui! Grazie alla pietà il cristiano non cerca solo le consolazioni di Dio, ma desidera farGli compagnia nella Sua gioia e nel Suo dolore per il peccato del mondo” (tre racconti dello Spirito, 52).



Il dono della pietà si trova sulle vie misteriose che lo Spirito percorre per abitare i cuori.

Un giorno forse quel ragazzo che percorre da solo le strade della città troverà spontaneo cercare un momento di sollievo al caldo dell’estate in una chiesa: e lì gli parlerà il grande crocifisso o il silenzio o la figura del prete che sta là in ginocchio sulla prima panca.

Dopo tanto tempo il ragazzo proverà a mettersi ancora in ginocchio e cercherà di resistere in quella posizione, come in tacita sfida con il prete; e piano piano, mentre lungo la schiena gli sale la fatica, sulle labbra torneranno le parole antiche: “Padre nostro, che sei nei cieli …”.

Un giorno, forse, anche l’uomo onesto e buono, reso opaco dall’abitudine e dal rispetto umano, abituato a trattenere il pensiero e persino il sentimento sulle cose spicciole e fugaci, si troverà invaso dalla commozione. Sarà un canto che lo raggiunge da insospettate lontananze visitando un santuario o piuttosto un volto di Cristo di un artista sconosciuto che era lì, in casa del figlio da chissà quanto tempo e che, finalmente, un giorno trapassa con sguardo inquietante le mura impenetrabili in cui s’era rinchiuso il desiderio di Dio e ne spreme la commozione e l’esultanza: “sia santificato il Tuo Nome…”

Un giorno, forse, anche la madre afflitta che va in chiesa oramai solo perché al suo bambino malato piacciono i canti e le vesti da chierichetto, sentirà la vicinanza dell’altra Madre afflitta, che sta là sotto la croce. E quando tra le lacrime tornerà a pregare le parole troppo a lungo taciute: “sia fatta la Tua volontà!”, non sarà per dichiarare una resa al Dio enigmatico che manda le disgrazie, ma sarà un canto di vittoria e di speranza che s’abbandona all’unico, vero, santo Dio che ha dato vita anche al Suo Figlio in croce e sa dare gioia e speranza eterna al bambino malato e consolazione alla sua afflitta madre.