tratto da: "Avvenire" del 9 agosto 2014
di Emanuela Vinai
Per prima cosa bisogna sfatare
un luogo comune: la provetta non è una cura per l’infertilità. Il ricorso alle
tecniche di procreazione medicalmente assistita può portare a un figlio, ma non
curare le patologie che sono la causa dell’infertilità stessa. Ci sono tante
varianti a comporre il rebus degli aspiranti genitori: l’età, il tempo di
ricerca della gravidanza, la presenza di altri fattori di rischio, patologie
sottostimate. Per questo è necessario un iter diagnostico approfondito così da
individuare e rimuovere gli elementi che ostacolano il processo riproduttivo,
senza bypassarli. Al Policlinico Gemelli opera l’Istituto Scientifico
Internazionale Paolo VI di ricerca sulla fertilità e infertilità umana (ISI).
La struttura nasce per
sviluppare la ricerca sulla fertilità umana nell’intento sia di definire
metodiche naturali per la regolazione della natalità sia di individuare
soluzioni naturali alla sterilità di coppia. Presso l’ambulatorio dell’ISI è a
disposizione un équipe multidisciplinare formata da ginecologo, andrologo,
endocrinologo, chirurgo della riproduzione e psicologo. «Ci facciamo carico
globalmente dei due aspiranti genitori, con una gestione clinica unitaria,
fornendo nella stessa struttura una serie completa di specialisti », racconta
il professor Riccardo Marana, direttore scientifico dell’ISI. Dal 2003, anno di
inizio dell’attività «il Centro ha ottenuto 720 gravidanze che corrispondono al
15% delle coppie seguite ». Dati perfettamente confrontabili con quelli del
Ministero della salute relativi ai risultati della Pma che si attestano al
14,2% delle coppie. La differenza significativa sta nel fatto che le gravidanze
ottenute presso l’ISI sono state conquistate rimuovendo davvero le cause
dell’infertilità e ponendo le coppie in condizione di poter avere altri figli
naturalmente. Prima però è necessario individuare e curare eventuali infezioni
silenti, contratte magari anni prima, che possono aver danneggiato l’apparato
riproduttivo, oppure riconoscere e trattare patologie legate alle tube, spesso
risolvibili con interventi di microchirurgia laparoscopica. «Molte delle coppie
che vengono subito inviate alla Pma hanno una diagnosi di occlusione tubarica
prossimale, cioè la chiusura delle tube all’inizio dell’utero – spiega Marana
–. Ebbene, troppo spesso questa diagnosi è falsata da tecniche non corrette,
dando il via a una serie impressionante di falsi positivi. Già in uno studio
del 1992 avevamo dimostrato che erano il 42%, ora un recente lavoro canadese
porta questi dati addirittura al 96%. Tutte coppie indirizzate alla
fecondazione artificiale sulla base di una diagnosi non corretta».
La chirurgia laparoscopica può
rivelarsi risolutiva: «Su pazienti selezionate abbiamo avuto una
percentuale di successo di gravidanza naturale con bambini in braccio pari al
30%». Così come dall’analisi e l’intervento su casi di infertilità maschile è
stato possibile ottenere gravidanze anche con un numero di spermatozoi molto
basso o con scarsa motilità. Risultati positivi che non piacciono a tutti, fa
capire il direttore dell’Isi: «Lo studio che abbiamo prodotto in tema ci è
stato rifiutato da una rivista americana, con la motivazione che non si doveva
perdere tempo su questo quando si poteva tranquillamente ricorrere alla Pma».
Ma se un figlio tarda ad arrivare, un accertamento clinico approfondito non
serve solo a rispondere a un desiderio di genitorialità, spesso è di aiuto per
prevenire l’insorgenza di altre problematiche, conferma Marana: «Grazie a
questi esami, è possibile trovare patologie insospettate che non sarebbero
emerse diversamente e vanno assolutamente curate».
Un passo prezioso, in tale
iter, è la conoscenza. «L’infertilità è spesso il sintomo di altri problemi –
spiega Paola Pellicanò, del Centro studi e ricerche per la regolazione naturale
della fertilità, che dell’ISI è parte integrante – e le coppie alla ricerca di
una gravidanza dovrebbero prima di tutto essere aiutate a conoscere i propri ritmi
di fertilità e a indagare le cause che impediscono l’arrivo di un figlio.
In questo modo saranno loro ad essere protagonisti del loro percorso, e non
lasciati in balia di agenti esterni».
È quanto avviene attraverso
l’insegnamento dei metodi naturali di regolazione della fertilità, che
consentono uno studio dei ritmi della fertilità della donna con finalità anche
diagnostiche: «Si tratta anzitutto di uno strumento scientificamente valido, di
conoscenza della fertilità della coppia e del periodo di massima fertilità: la
nostra esperienza mostra circa un 65% di concepimenti in coppie che li usano
nella ricerca della gravidanza, ivi inclusi casi di infertilità. In queste
situazioni, inoltre, i metodi naturali forniscono un prezioso approccio di
prevenzione e di diagnosi, perché già dalle semplici osservazioni della donna
si possono individuare eventuali alterazioni nel ciclo che facciano sospettare
patologie specifiche, consentendo di affrontarle precocemente e quindi con un
migliore risultato terapeutico, nonché di indirizzare in modo più mirato ad
accertamenti di livello superiore».
Ma la proposta dei metodi naturali è più globale e il percorso dedica molto tempo all’ascolto e all’accompagnamento della coppia, «È necessario un approccio più umano e meno tecnico», chiarisce l’esperta. «Non bisogna dimenticare che la fertilità non è solo un problema biologico ma è la somma di elementi complessi e delicatissimi: il vissuto delle singole persone, l’amore della coppia, la vita unica di un nuovo essere umano: il figlio».